POSSIBILE IL FALLIMENTO DELL’IMPRESA IN CONCORDATO
Senza la preventiva risoluzione della procedura concordataria in corso
Marta Rossinelli
Ciro Lenti
Mauro Rossinelli
Il coordinamento tra la procedura concordataria e la successiva sentenza dichiarativa di fallimento è sempre stato un tema estremamente delicato, sia per i creditori che per l’impresa debitrice.
L’articolo 137 (risoluzione del concordato), tutt’ora in vigore, prevede, al punto 1, che “ciascun creditore può chiederne la risoluzione se …il proponente non adempie regolarmente gli obblighi derivanti dal concordato” , al punto 4 che “la sentenza che risolve il concordato riapre la procedura fallimentare ….” e al punto 5 che “la sentenza è reclamabile ai sensi dell’art. 18”.
Il successivo art. 138 (annullamento del concordato) prevede che “il concordato omologato può essere annullato dal Tribunale su istanza del “curatore” o di qualunque creditore, in contraddittorio con il debitore, quando si scopre che è stato dolosamente esagerato il passivo , ovvero sottratta o dissimulata una parte rilevante dell’attivo. Non è ammessa alcuna altra azione di nullità. Si procede a norma dell’art. 137.”
Su tali presupposti una impresa, dichiarata fallita senza una preliminare risoluzione della procedura di concordato in corso, impugnava la sentenza innanzi alla Corte d’Appello che accogliendo il ricorso annullava la decisione del Giudice di prime cure per mancato rispetto puntuale delle norme fallimentari. Infatti, la norma prevede dal punto di vista procedurale l’impugnativa del concordato da parte dei creditori ai sensi dell’art. 186 della L.F. dove in sede di contraddittorio con il debitore viene provata o meno l’impossibilità di esecuzione del piano concordatario. A sua volta il “Curatore” propone ricorso per Cassazione avverso la decisione della Corte di Appello sostenendo che tale pronuncia violerebbe gli articoli 5 e 186 della legge fallimentare.
Lo stato di fatto ha consentito alle Sezioni Unite di accendere i riflettori sulla possibilità che possa essere dichiarato il fallimento di una impresa ammessa al concordato preventivo, il cui piano sia stato omologato e non ancora eseguito, qualora l’impresa in procedura non sia più in grado di adempiere al concordato (siamo quindi in presenza di una inadempienza relativa ai debiti ristrutturati) e ciò senza una preventiva sentenza di risoluzione della procedura di concordato ex art. 186 L.F. .
Questa, in estrema sintesi, la pronuncia della Corte Suprema di Cassazione, a sezioni unite, n. 4696 del 14 febbraio 2022.
Nella pronuncia, le Sezioni Unite affermano il principio di diritto per il quale “nella disciplina della legge fallimentare risultante dalle modificazioni apportate dal d.lgs n. 5/2006 e dal d.lgs n. 169/2007, il debitore ammesso al concordato preventivo, e per il quale ha ottenuto l’omologa, che si dimostri insolvente nel pagamento dei debiti concordatari può essere dichiarato fallito, su istanza dei creditori, del PM o anche propria, anche prima e indipendentemente dalla (preventiva) risoluzione del concordato.”
Tale orientamento ha valore quanto meno nei casi in cui il creditore istante faccia valere il credito non nella misura originaria, ma in quella ridotta contenuta nella proposta concordataria omologata rimasta ineseguita.
Il debitore continua infatti ad essere obbligato all’adempimento anche una volta scaduto il termine per la risoluzione del concordato, con la conseguenza che in caso di inadempimento si configura un fatto sopravvenuto autonomamente rilevante che può rappresentare un presupposto di fallibilità su istanza non solo dei creditori, ma anche del P.M. (come detto, per la misura falcidiata) ed anche di nuovi creditori (Cass. civ., sez. unite, n. 9935/2015).
Pertanto l’insolvenza si verifica allorché il debitore di fatto non sia riuscito a rispettare le scadenze, con l’accortezza di accertare che l’impossibilità ad adempiere sia certa e definitiva, e non solo momentanea o causata da eventi transeunti.
La Sentenza in commento, oltre a dirimere una lunga querelle procedurale, ha dato una definitiva interpretazione procedurale certa e snella sia per il ceto creditorio che per il debitore.
Prediligendo un approccio teso al pragmatismo, oggi è chiaro che il mancato rispetto del piano concordatario, qualora non rispettato per come lo stesso sia stato approvato dai creditori e qualora il debitore non si faccia attore di eventuali azioni di warning verso il commissario giudiziale, con un automatismo, seppur da impulso (creditori, PM o con auto dichiarazione del debitore), sarà dichiarato il fallimento senza che vi sia prima la declaratoria di risoluzione del concordato preventivo omologato.
Per proseguire nel pragmatismo, la sentenza commentata obbliga gli estensori del piano concordatario ad un rafforzamento degli stress test del piano stesso (studio e analisi del comportamento di determinati elementi che permettono di valutare l’intera tenuta del piano) per valutare ab origine le variabile in grado di influenzare l’esecuzione del piano proposto ai creditori.