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INSTALLAZIONE  DI VIDEOCAMERE NASCOSTE NEL LUOGO DI LAVORO

Può il datore di lavoro installare videocamere nascoste per riprendere il dipendente che compie un illecito, così da poter acquisire prove valide in eventuale giudizio?

Sempre più spesso i datori di lavoro mi chiedono se possono installare videocamere all’insaputa dei dipendenti che li riprendano nel momento in cui commettono un illecito, al fine di acquisire prove valide per licenziamento o per una denuncia nei loro confronti.

Tutto ciò è possibile, ma solo se ricorrono determinate condizioni.

Dobbiamo innanzitutto fare una prima distinzione tra il caso di installazione di videocamere visibili, necessarie per questioni di sicurezza dell’azienda (si pensi ad esempio ad un’azienda orafa che necessita di proteggere il materiale prezioso). In tali casi, come sappiamo, esiste una procedura descritta dallo Statuto dei Lavoratori, che consiste nel richiedere l’autorizzazione alle rappresentanze sindacali o all’Ispettorato del lavoro, oltre a dover rispettare dei parametri e delle condizioni stabilite dalla normativa sulla privacy.

Non è questo, però, il caso a cui mi riferisco. In questo breve articolo, vorrei cogliere l’occasione di parlare di quelle situazioni in cui il datore di lavoro nutre il sospetto che sia in corso un’attività illecita da parte di uno o più dei suoi dipendenti, lesiva del patrimonio o dell’immagine dell’azienda, e necessiti di controlli cosiddetti “occulti” (quindi videocamere nascoste) per poter acquisire prove utili per la contestazione disciplinare nei confronti del dipendente o per il suo licenziamento o per depositare denunce.

Parto, innanzitutto, da una importante considerazione che riguarda il nostro sistema normativo, carente per tale materia; infatti, non esiste una norma che preveda e disciplini tali ipotesi. E’ solo grazie al lavoro della Cassazione, e quindi una elaborazione giurisprudenziale compiuta nel corso di questi anni, che si è riusciti a colmare la lacuna normativa. Di questo argomento, infatti, si è occupata spesso la Suprema Corte, il cui orientamento maggioritario, ormai consolidato nel tempo, legittima il ricorso a tali mezzi di prova, purché sussistano specifici presupposti. Tali controlli non rientrano nelle ipotesi del “controllo a distanza”, che sappiamo essere vietati se non in presenza di considerevoli garanzie procedurali, ma in quella dei “controlli difensivi occulti” (così definiti dai Giudici della Cassazione) finalizzati alla tutela del patrimonio e dell’immagine aziendale.

Nel concreto, secondo l’orientamento ad oggi maggioritario della Cassazione, perché questi “controlli difensivi occulti” siano legittimi devono ricorrere le condizioni che andrò a descrivere:

  • Deve sussistere un bilanciamento dei diritti. Infatti, “l’esigenza di evitare il compimento di condotte illecite da parte dei dipendenti non può mai assumere una portata tale da giustificare un sostanziale annullamento di ogni forma di garanzia della libertà, della dignità e della riservatezza dei lavoratori”. (Cassazione civile sez. lav., 10636/2017). Così anche la Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la quale all’art. 8 statuisce il diritto fondamentale al rispetto della vita privata dell’uomo, in ogni ambito essa si esplichi, e che, pertanto, ogni ingerenza dovrà essere giustificata dall’esigenza di tutelare un diritto di pari o maggiore importanza.
  • Deve essere rispettato il principio di proporzionalità e di non eccedenza. Tali modalità di controllo devono essere adottate in via eccezionale e non possono quindi diventare prassi ordinaria. Le videocamere dovranno essere utilizzate solo per il tempo strettamente necessario per acquisire prove sufficienti, successivamente dovranno essere prontamente rimosse.
  • Il ricorso ai controlli occulti deve essere fatto solo come extrema ratio. Ciò sta a significare che è legittimo ricorrere ai controlli occulti solo se non è possibile riuscire ad ottenere le prove necessarie con mezzi alternativi, quali, ad esempio, i controlli che possono essere effettuati da personale facente parte dell’organizzazione aziendale (per esempio le guardie giurate).
  • Devono sussistere fondati sospetti. L’uso di tale metodologia di controllo deve avere a fondamento delle circostanze ben precise e i sospetti devono essere “fondati” (per esempio il riscontro contabile di ammanchi di merce o ammanchi di cassa); di conseguenza è vietato l’uso di videocamere occulte per scopi di mera prevenzione di eventuali illeciti. (Cass. 13266/2018).
  • Le riprese devono essere circoscritte. A tutela della riservatezza e della dignità dei lavoratori è vietato riprendere i dipendenti in occasione dello svolgimento dell’attività lavorativa; pertanto, l’area di ripresa deve essere tale da poter catturare il comportamento illecito, ma al contempo limitare il più possibile il monitoraggio delle normali mansioni lavorative (Cass. 15892/2007 e Cass. 10955/2015).
  • Il datore di lavoro non può visionare le registrazioni e le immagini captate possono essere utilizzate solo ai fini della contestazione dell’illecito. Il datore di lavoro non può controllare lo svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti, in quanto comportamento contrario alla dignità e libertà del dipendente. Le registrazioni, pertanto, dovranno essere visionate da persone non facenti parte dell’organizzazione aziendale (spesso sono gli investigatori a cui viene conferito incarico), le quali dovranno estrapolare e consegnare al datore di lavoro quella parte registrata che si riferisca solo al compimento materiale dell’illecito. Inoltre, quando, per ragioni tecniche, a seguito del controllo occulto diretto ad accertare un illecito del dipendente vengono portati alla luce dati riguardanti l’esatto adempimento della prestazione lavorativa, i dati medesimi non possono essere usati per altri fini e soprattutto non possono essere utilizzati per contestare al lavoratore la violazione dell’obbligo di diligenza. ( civile sez. lav.,19922/2016).

Fin qua l’indirizzo giurisprudenziale consolidato, ma dobbiamo anche tener conto della normativa sulla privacy e ci dobbiamo chiedere se la stessa accolga tale orientamento ed in quale modo.

A tal proposito ci viene in aiuto l’ex Presidente del Garante per la Protezione dei Dati, Antonello Soro, il quale in una dichiarazione pubblicata in data 17.10.2019, commentando la sentenza della Corte di Strasburgo di pari data (caso Lòpez Ribalda e altri vs/ Spagna), ha sostanzialmente aderito al pensiero della Suprema Corte.

Queste le sue parole: “La sentenza della Grande Camera della Corte di Strasburgo se da una parte giustifica, nel caso di specie, le telecamere nascoste, dall’altra conferma però il principio di proporzionalità come requisito essenziale di legittimazione dei controlli in ambito lavorativo.

L’installazione di telecamere nascoste sul luogo di lavoro è stata infatti ritenuta ammissibile dalla Corte solo perché, nel caso che le era stato sottoposto, ricorrevano determinati presupposti: vi erano fondati e ragionevoli sospetti di furti commessi dai lavoratori ai danni del patrimonio aziendale, l’area oggetto di ripresa (peraltro aperta al pubblico) era alquanto circoscritta, le videocamere erano state in funzione per un periodo temporale limitato, non era possibile ricorrere a mezzi alternativi e le immagini captate erano state utilizzate soltanto a fini di prova dei furti commessi.

La videosorveglianza occulta è, dunque, ammessa solo in quanto extrema ratio, a fronte di “gravi illeciti” e con modalità spazio-temporali tali da limitare al massimo l’incidenza del controllo sul lavoratore. Non può dunque diventare una prassi ordinaria.

Il requisito essenziale perché i controlli sul lavoro, anche quelli difensivi, siano legittimi resta dunque, per la Corte, la loro rigorosa proporzionalità e non eccedenza: capisaldi della disciplina di protezione dati la cui “funzione sociale” si conferma, anche sotto questo profilo, sempre più centrale perché capace di coniugare dignità e iniziativa economica, libertà e tecnica, garanzie e doveri”. (Fonte: https://www.garanteprivacy.it/home/docweb/-/docweb-display/docweb/9164334).

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